ti presento ikam
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Ikam è uno dei malati di lebbra accolti e curati presso l’ospedale di Cumura
Mi chiamo Ikam, ho 60 anni e da tempo sono sulla sedia a rotelle dopo aver perso una gamba a causa della lebbra.
Vivo con la mia famiglia nelle case poco distanti dall’ospedale di Cumura.
L’ospedale di Cumura per me è un luogo speciale.
Qui, tanti anni fa, i frati francescani hanno iniziato a curare i lebbrosi, quando essere malati di lebbra significava essere condannati all’isolamento.
A quel tempo, chi si ammalava veniva allontanato dai villaggi e costretto a vivere ai margini della comunità, allontanato anche dai propri famigliari.
Quando ho iniziato a sentire i primi sintomi, sapevo cosa significava: la perdita della sensibilità nelle mani, le ferite che non guarivano, il timore degli sguardi degli altri.
Per anni ho vissuto con la paura di essere allontanato e dimenticato dalle persone a cui volevo bene. Più la malattia avanzava, più io mi sentivo solo.
Poi, grazie ai frati e ai medici dell’ospedale francescano di Cumura ho ricevuto cure, attenzioni e, soprattutto, rispetto.
Ci sono ancora persone che portano i segni della malattia: alcuni, come mei, hanno subito mutilazioni oppure sono diventati ciechi perché la diagnosi è arrivata troppo tardi.
Oggi però la lebbra non è più una condanna senza speranza: se viene diagnosticata in tempo, può essere curata senza lasciare danni permanenti e chi ne soffre non deve essere lasciato solo.
L’ospedale di Cumura da più di 70 anni accoglie chi è malato, fornisce la terapia e permette ai pazienti di tornare a casa dalle proprie famiglie, senza dover vivere nell’emarginazione.
Io stesso, dopo le cure, vivo con la mia famiglia qui a Cumura. Nonostante la sedia a rotelle, mi occupo di piccoli lavori e mi rendo utile come posso.
Cumura è un posto dove non si guarda alla malattia, ma alla persona. E io, nonostante tutto, oggi mi sento un uomo con dignità e speranza.
fr. pietro pagliarini, animatore missionario, con ikam
davanti alla sua casa
Mi chiamo Ikam, ho 60 anni e da tempo sono sulla sedia a rotelle dopo aver perso una gamba a causa della lebbra.
Vivo con la mia famiglia nelle case poco distanti dall’ospedale di Cumura.
L’ospedale di Cumura per me è un luogo speciale.
Qui, tanti anni fa, i frati francescani hanno iniziato a curare i lebbrosi, quando essere malati di lebbra significava essere condannati all’isolamento.
A quel tempo, chi si ammalava veniva allontanato dai villaggi e costretto a vivere ai margini della comunità, allontanato anche dai propri familiari.
Quando ho iniziato a sentire i primi sintomi, sapevo cosa significava: la perdita della sensibilità nelle mani, le ferite che non guarivano, il timore degli sguardi degli altri.
Per anni ho vissuto con la paura di essere allontanato e dimenticato dalle persone a cui volevo bene. Più la malattia avanzava, più io mi sentivo solo.
Poi, grazie ai frati e ai medici dell’ospedale francescano di Cumura ho ricevuto cure, attenzioni e, soprattutto, rispetto.
Ci sono ancora persone che portano i segni della malattia: alcuni, come mei, hanno subito mutilazioni oppure sono diventati ciechi perché la diagnosi è arrivata troppo tardi.
Oggi però la lebbra non è più una condanna senza speranza: se viene diagnosticata in tempo, può essere curata senza lasciare danni permanenti e chi ne soffre non deve essere lasciato solo.
L’ospedale di Cumura da più di 70 anni accoglie chi è malato, fornisce la terapia e permette ai pazienti di tornare a casa dalle proprie famiglie, senza dover vivere nell’emarginazione.
Io stesso, dopo le cure, vivo con la mia famiglia qui a Cumura. Nonostante la sedia a rotelle, mi occupo di piccoli lavori e mi rendo utile come posso.
Cumura è un posto dove non si guarda alla malattia, ma alla persona. E io, nonostante tutto, oggi mi sento un uomo con dignità e speranza.
fr. pietro pagliarini, animatore missionario, con ikam
davanti alla sua casa
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