Dove nasce la fraternità: lo sguardo di Nicola che ogni giorno vede San Francesco
Dove nasce la fraternità: lo sguardo di Nicola che ogni giorno vede San Francesco
Ci sono giornate in cui, entrando al Centro Sant’Antonio di Milano, ti accorgi che l’aria è diversa. Non è solo il profumo del caffè caldo del mattino o il vociare degli ospiti che si mettono in fila. C’è una presenza più sottile, quasi silenziosa, che accompagna ogni gesto, ogni sorriso, ogni piccola fatica.
Quando parli con gli operatori e i volontari, ti accorgi che quella presenza ha un nome: San Francesco.
Nicola che ci racconta la sua esperienza non usa mai grandi parole. Anzi, quasi si schermisce, come fanno spesso coloro che vivono davvero il servizio. Ma quando parla, senti qualcosa di vero che vibra sotto la superficie.
«San Francesco qui lo vedo tutti i giorni», dice. «Non nelle grandi cose, ma in quelle piccole, che non si vedono subito: nel mettersi accanto a una persona senza dimora come fosse un fratello, nell’ascoltare senza giudicare, nell’accogliere senza chiedere nulla in cambio.»
Per loro, dare un pasto diventa quasi secondario, un pretesto e un’occasione per incontrare l’altro, per chiamarlo per nome, per restituirgli un pezzo di dignità che la strada gli ha portato via.
«San Francesco ci ha insegnato a essere minori», continua. «Cioè piccoli, umili, ultimi tra gli ultimi. Ecco, qui impariamo a stare accanto alle persone senza volerle cambiare per forza, senza pretendere che ci stiano simpatiche o che ci ascoltino come vogliamo noi. Impariamo a camminare al loro passo.»
Lo vedi quando un operatore accompagna qualcuno a una visita medica, spiegandogli con pazienza ciò che il medico ha detto, quando una volontaria taglia i capelli a una donna che vive in strada, offrendole un momento di cura che forse non aveva da anni.
Lo vedi quando qualcuno si ferma semplicemente per scambiare due parole con chi la solitudine.
«Il nostro lavoro», dice lui, «non è dare cose, ma costruire relazioni. Perché solo quando una persona si sente guardata, riconosciuta, amata… allora può cominciare a prendersi cura di sé. È lì che succedono i miracoli.»
Nel suo racconto non c’è quotidianità, quella fatta di tante piccole attenzioni che cambiano davvero la vita di chi le riceve.
E mentre ascolti, ti accorgi che ha ragione: San Francesco non è un ricordo lontano.
È vivo nelle mani che porgono un tè caldo, nei piedi che camminano accanto a una persona stanca, negli occhi che vedono il bene dove gli altri vedono solo un problema.
Allora capisci che l’inverno non fa paura solo per il freddo. Fa paura per la fragilità che svela.
Ma è proprio lì, nella fragilità, che la fraternità francescana diventa più luminosa.
QUESTO INVERNO, DONA CALORE A CHI NON HA RIPARO
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