Il pub dove Dio fa rima con birra

«La birra è la prova che Dio ci ama e vuole che siamo felici» scrivono, citando Benjamin Franklin, i ragazzi del Friar Pub. La loro sembrerebbe un’esagerazione se questo locale, sorto nell’ex filanda del convento quattrocentesco di Santa Maria delle Grazie di Monza, non fosse una costola ben radicata del progetto di pastorale giovanile ideato dai Frati francescani del nord Italia

Otto volte all’anno centinaia di ragazzi dai 18 ai 35 anni si ritrovano al Friar di via Montecassino per gustare le birre che prendono il nome da un altro convento monzese, quello del Carrobiolo, e partecipare a una serata a tema. Le porte del pub aprono una volta al mese (a eccezione della Quaresima), ogni serata dura dalle 21,30 a mezzanotte e la consumazione è a offerta libera. Si comincia spiegando a tutti come funziona: qual è il tema della serata, in cosa consistono i laboratori proposti e dov’è il banco della birra. Prima di tornare a casa tutto si ferma per una catechesi di tre minuti in cui riprendere il concetto della serata e dare un messaggio cristiano.

A spillare birra e coordinare l’iniziativa ci pensa fra Ivano Paccagnella, 35 anni, originario di Padova, arrivato in città nel 2016 insieme ad altri tre frati come responsabile della pastorale giovanile e vocazionale dei Frati minori del nord Italia. «Quando sono approdato a Monza», ci spiega, «ho ripreso l’idea del pub avuta da chi mi aveva preceduto e l’ho riproposta grazie all’aiuto di un’équipe di giovani».

Nel tempo libero dalle loro professioni (c’è un educatore, un medico anestesista, tre ingegneri, un architetto, una fisioterapista, un elettricista e due architetti) questi giovani dai 23 ai 37 anni verificano l’incontro precedente e inventano un’altra serata che ha titolo, allestimento e laboratori specifici. «La prima nel 2017», spiega Lorenzo Ravenna, educatore di 34 anni presso un centro autismo e fin dall’inizio impegnato nel Friar, «l’abbiamo dedicata al gusto, perciò abbiamo proposto un minicorso di degustazione di birra. L’anno scorso invece abbiamo creato un muro con dei varchi attraverso i quali i ragazzi dovevano passare rispettando regole che li obbligavano alla collaborazione. Un’altra volta con catene di luci che ricordavano un filo spinato abbiamo organizzato un percorso lungo il quale raccontare il dramma dei migranti. La prossima serata sarà sulla favola».

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